FLUDD

FLUDD è una sigla di produzione che opera a Genova dal 1990, nel territorio di confine tra arti visive, ricerca musicale, poesia, producendo performances, concerti, eventi teatrali, readings, videoinstallazioni.

Chi

FLUDD dal 1995 ha iniziato a trasferire sulla scena il proprio metodo di lavoro, con cadenza annuale e nello spazio privilegiato del Teatro Garage di Genova, in una serie di spettacoli definiti “azioni video-musicali”, a partire da un tema centrale comune ai componenti del gruppo, che non ha un organico stabile pur ruotando attorno al riferimento di:

Gianriccardo Scheri

Gianriccardo Scheri

Bologna (1948) residente a Genova dal 1953: dopo un percorso nella poesia, con testi su riviste e raccolte autoprodotte, dal 1975 procede nel settore di confine tra arti visive e teatro, con azioni , installazioni, video. 

Marco Cacciamani

Marco Cacciamani

Genova (1955): Art-performer, dal 1979 ha sviluppato il suo interesse verso l’aspetto sonoro, producendo colonne sonore per video e numerosi interventi dal vivo.

Angela Mambelli

Angela Mambelli

Genova (1958): Designer, persegue dal 1995 un progetto di installazioni a tema per comporre un racconto attraverso gli oggetti.

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Come con la musica dal vivo e il video, sviluppiamo per analogie un tema.

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In un flusso dove scorre la musica, l’elogio del silenzio interno nel corso del rumore.

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Una sintesi di testi poetici, in una sorta di concerto per musica, video e lettura.

Rat

A Genova, sul finire dei settanta. Da storie e direzioni diverse, in cammino.

Caratteri dell'attività

La musica e il video
Gli elementi centrali del lavoro del gruppo FLUDD sono la musica dal vivo e l’utilizzo del supporto video, come componente narrativa e scenica, riuniti in forma di atto unico, articolato in una serie di fasi o momenti che per analogie sviluppano un tema di fondo.
La parola
Da una iniziale assenza della parola si è proceduto verso una sua inclusione minimale in una sorta di concerto per musica, video e parola scritta in cui la presenza della parola è affidata alla recitazione e alla lettura di una serie di testi poetici come sintesi del tema trattato.
Economia di lavoro

Il gruppo è completamente autofinanziato e nessuno dei componenti è dedicato a tempo pieno alla sua attività.

Tutte le parti musicali e i testi letti o recitati sono composti da elementi del gruppo.

Definizione

Definizione

Nell’intento di creare eventi dove s’intrecciano suono, visione, corpo dei componenti del gruppo, in un percorso che chiede allo spettatore, senza imposizione di significati e con autonomia di giudizio, di forzare i confini dei generi e delle tecniche e riunire i sensi in una esperienza avvolgente.

Gli elementi centrali del lavoro del gruppo sono la musica dal vivo e l’utilizzo del supporto video, combinati in una sorta di concerto per musica, video e parola, in cui la presenza della poesia è affidata alla recitazione o alla proiezione in sintesi di una serie di testi.

Altri elementi sostanziali sono l’utilizzo di ambienti e oggetti miniaturizzati, manipolati dal vivo e ripresi da microcamere, per comporre un racconto per oggetti definito “object tale”.

Nel 2010, Fludd contribuisce alla fondazione dell'associazione culturale Duplex Ride

Duplex Ride è un’associazione culturale interessata ad ogni forma d'arte, che organizza principalmente eventi di musica elettronica e videoproiezione. Duplex Ride è un'idea in movimento, è arte collettiva, è ricerca elettronica, è sperimentazione in tutte le sue forme, dalla pittura, alla fotografia, alla scrittura.

Duplex Ride

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Come con la musica dal vivo e il video, sviluppiamo per analogie un tema.

ANNI 2000/2005

ANNI 2006/2010

ANNI 2011/2015

ANNI 2016/2020

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In un flusso dove scorre la musica, l’elogio del silenzio interno nel corso del rumore.

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Una sintesi di testi poetici, in una sorta di concerto per musica, video e lettura.

Fludd parla

Se definissimo il nostro metodo di lavoro con l’immagine liquida del versare acqua intorno in un moto rotatorio, dovremmo anche dire che ciò presuppone un recipiente o un progetto che la contenga e ci permetta di versarla in una direzione scelta in modo razionale...Ma il percorso di ogni rivolo è affidato alla casualità ovvero viene raggiunto lo sbocco ma come attraverso un delta di fiume con le sue ramificazioni date dall’ambiente, dai partecipanti e dalle emozioni che si mettono in moto...

Dunque dietro l’apparente casualità c’è una intenzione “sperimentale” di provocare delle emozioni con degli strumenti semplici ma combinati e sovrapposti tra loro come l’azione, la musica, le video riprese, la parola poetica, la pittura dal vivo, gli oggetti scenici...

Si cerca di far vivere a chi viene coinvolto nelle situazioni che organizziamo, la sensazione di essere sommerso da tutti questi elementi che ruotano su se stessi, delle specie di “trottole emozionali”, che disturbando la percezione razionale, provochino l’emergere delle emozioni senza dare una direzione immediatamente riconoscibile a tutto il movimento, a questo “vortice multimediale”... non a caso uno degli oggetti di scena a cui siamo affezionati sono proprio i frullatori trasfigurati in lampade ruotanti...
Questo roteare ovviamente non potrebbe svolgersi in ambienti che impongono una partecipazione passiva o dei punti di vista obbligati, come spazi teatrali con impianti fissi di palco e sedie... il movimento deve contenere lo spettatore e ogni separazione viene respinta verso le pareti...

Il nostro rifiuto programmatico... dell’aderire al ruolo di “artista” come produttore individuale e specializzato di un oggetto di consumo, per praticare invece la creatività a tutti i costi senza altre regole che quelle interne ad ognuno e che è nostro dovere riscoprire e praticare...

Tra l’altro il recente sviluppo della tecnologia ha reso disponibili nella maggior parte delle nostre case una serie di strumenti con cui trasferire nella pratica questa creatività...
Noi infatti con l’uso creativo di questi elettrodomestici “intelligenti” vogliamo proprio dimostrare che ognuno può “fare arte” rimanendo fuori da un ruolo codificato e che non deve esistere altra giustificazione del proprio operare se non il bisogno di esprimersi...

Pensiamo che la ripetitività faccia parte dell’esistenza quotidiana: tutti noi siamo costretti ogni giorno per numerose volte a ripetere una serie di operazioni... nella vita casalinga questo prende un aspetto quasi scientifico... tutta una serie di compiti di conduzione famigliare sono basati sulla ripetitività che accumula tensioni e mette in moto una forza sempre più devastante che abitualmente viene trattenuta, rivolgendola comunque contro se stessi e chi ci è vicino...

Abbiamo cercato di liberare questa energia compressa, mettendo in moto volutamente delle occasioni basate sulla ripetizione, in cui si ingorgano queste tensioni, fino allo sbocco che nell’evento (diversamente dalla realtà) può manifestarsi in modo dirompente senza fare vittime...

Attraverso gli strumenti della ciclicità e della ripetizione e non con un percorso lineare ma un vortice di azione, musica, video si opera in modo che lo spettatore sospenda un giudizio razionale sulla situazione in cui si trova coinvolto e lasci affiorare le proprie emozioni, la propria memoria latente... Gli elementi che costituiscono l’evento proposto sono ridotti alla loro forma più semplice, essenziale... sono gesti elementari che non illustrano alcuna vicenda “letteraria” o testuale.. sono i semplici gesti che si compiono nella realtà ma che per l’occasione si caricano della capacità di condurre lo spettatore oltre la sua percezione razionale...

Sono come parti di una macchina che ruotando vuole produrre energia, pezzi di un progetto freddo messo in moto per generare calore e alla fine nel tiepido silenzio che rimane quando si è fermato, possiamo provare a riflettere e parlarci, magari bevendo assieme come abitualmente concludiamo le nostre azioni e chiudere la parentesi che si era aperta per qualche decina minuti, conoscendo qualcosa di più di noi stessi...

Vivere delle emozioni non indirizzate ad un senso immediatamente riconoscibile, secondo noi è un mezzo per acquisire qualche frammento di coscienza da spendere nella realtà...

La nostra attività è intrecciata con le vicende esistenziali di ognuno di noi, subendone i contraccolpi in termini di pause, deviazioni e contraddizioni e quindi non ha un percorso prevedibile perché non è separabile dalla casualità dell’esistenza... Finché l’esigenza di esprimere le proprie emozioni s’incontrerà con quella di farne partecipi altre persone e suscitarne in loro ovvero fino a quando non potremo sottrarci al bisogno di metterci in gioco in mezzo ad altri e non cercheremo di evitare questa punizione, fino ad allora FLUDD ha qualcosa da fare...

FLUDD ci ha procurato molti problemi e qualche piccola felicità... E’ la dose che noi ci siamo sempre aspettati, avendo scelto questo percorso al di là delle convenienze e dei ricavi d’immagine e di ruolo...
Ma uno dei risultati più confortanti (e che secondo noi giustifica tutto il nostro metodo di lavoro) è l’aver messo a disposizione di chi collabora con noi, anche per un solo episodio, la possibilità di esprimersi in piena autonomia, essere se stessi sia pure per la breve occasione di un’azione, e praticare nella realtà il concetto che ognuno di noi ha una capacità creativa da esercitare, quasi un dovere a cui non ci si può sottrarre se non a prezzo della propria salute...

Il gruppo si sottrae alla confezione di un prodotto "vendibile" da porre sugli scaffalii dello spettacolo e allo stesso modo diserta tenacemente l'arruolamento nei ranghi degli "operatori artistici sociali", inviati a diffondere la "democrazia del consumo artistico" nella babilonia dei generi e delle tecniche.

I cosiddetti "spettacoli", sono intesi come episodi di una auto-terapia per tenere sotto controllo il disagio di "essere fuori posto", fra i ruoli imposti dall'industria artistica. 

Abitualmente il percorso all’interno di un evento si svolge, in modo pur accidentato ma lineare, tra l’inizio A e il termine B, da un preludio ad un finale, da un prologo ad un epilogo.

Noi vogliamo partire da A e farvi ritorno, in un moto circolare che ripetendosi, trascini chi vi è coinvolto, in un flusso dove scorre la musica, il tempo, la memoria, i sensi.

Non vogliamo aprire un discorso per concluderlo, ma roteare, con un raggio di ampiezza variabile secondo l’occasione, attorno ad un centro e nel moto lasciare che affiori dal fondo del gorgo, la memoria: nella ripetizione del gesto, la vertigine dei legami che trattengono i sensi; con la ciclicità della musica, l’elogio del silenzio interno nel corso del rumore; nel fluire del tempo che si rinnova, il disagio del nostro tentativo a consumarlo in frazioni.

Nel flusso si confonde quanto di spiacevole troviamo sulla nostra retta via verso un risultato: un groviglio di fastidiose incognite nelle operazioni con cui dividiamo il mondo, che crediamo piatto. 

Quando spargo intorno le foto raccolte nell’album della nostra trentennale attività, mi trovo circondato da un tappeto di tentativi ed insuccessi, che malgrado l’impegno e le capacità dei fotografi, lasciano di noi negli anni pochi ritratti attendibili.

E’ un risultato ormai non inatteso e quasi accettato, in cui le foto diventano come caselle di un gioco, condotto tra i fotografi e il nostro desiderio costante a divenire invisibili, un progetto che viene inseguito dai nostri corpi in scena, come strumenti con l’unico compito di far funzionare una macchina che produca e diffonda emozioni fra gli spettatori, per condurli oltre i limiti della consueta percezione.

Nel nostro album non troviamo quindi “foto di scena”, perché non c’è la protezione degli strumenti dell’attore: le pareti del palco e della platea, le battute ritrovate nel copione, il percorso di crescita tra prove e repliche; il performer persegue il tentativo di esprimere se stesso senza mediazioni, sia pure per la breve occasione di un’azione e il fotografo che lo voglia seguire, partecipa dello stesso rischioso tentativo.

Dunque scatti in cerca di un fenomeno sfuggente: per qualche istante, una forma inconsueta attraversa il cielo; per pochi metri, un’ombra imprime delle orme sulla neve prima di confondersi nella nebbia; per una sera un gruppo di persone è costretto da altre a vivere delle sensazioni, ritrovarsi testimoni poi discordanti sul contenuto del’evento, versioni diverse sul misfatto che si è consumato, opinioni contrarie e coesistenti, sui testi che hanno scandito l’azione, del suono che vi scorreva, delle visioni che si sono accese nei monitors o sulle pareti.

Ci troviamo perplessi poi e insieme grati, alla costanza di chi con la fotocamera ha provato a porsi al centro e cogliere le prove del flusso che scorrendo non ammette repliche, ne’ pause o finzioni, accade qui e ora e dopo ricade nel buio, il silenzio, il tempo rimanente.

E di questa ambigua sostanza, comunque la foto, oltre la memoria chiusa in ognuno, è l’unico segno che in seguito ne rimanga leggibile conferma sotto gli occhi, traccia evidente per chi crede che l’arte in ciascuno e tra noi esista, nonostante. 

RAT

A Genova, sul finire dei settanta. Da storie e direzioni diverse, in cammino.

All'inizio, RAT

A Genova, sul finire dei settanta. Alcuni, in cammino da storie e direzioni diverse, si trovano assieme in tappe sempre più vicine e numerose. La stanchezza del proprio ruolo, i tentativi per uscirne, sono il comune, intenso e confuso, motivo del viaggio.

Per questi profughi inquieti, scegliere la performance come mezzo di espressione vuol dire esporre sé stessi, anima e corpo, dopo gli anni della mediazione del gesto, della parola, del segno.

RAT quindi non nasce come movimento a partire da una scelta definita, ma è la tendenza a mettere in comune l’esigenza individuale di uscire dal proprio settore specifico (poesia, teatro, arti visive, musica) vissuto come restrittivo: invece che costringere nell’imbuto, spandere attorno la propria energia, senza la certezza dell’esito, della direzione, della risonanza.

L’insofferenza del decennio precedente verso i contenuti si trasferisce contro le forme codificate dell’espressione: il testo, l’azione, il colore, la nota non bastano più a contenere l’energia che si vuole irradiare ed insieme ognuno di questi ed altri mezzi è utilizzato e piegato a tale scopo.

La performance diventa così la forma del desiderio, una macchina di pezzi strappati da altre superate e singole e ricomposti a produrre con l’emozione immessa e provocata, un risultato casuale, un finale aperto, un varco oltre lo spazio e il tempo del reale.

Gettare fra gli altri il proprio disagio con qualsiasi mezzo: un’arte inutile alla storia ma vitale per sé stessi...
 

RAT

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